Aroldo Berto amministratore delegatoMILANO (AIMnews.it) – È una delle più recenti matricole dell’Aim: controllata dalla famiglia Berto, sbarcata sul mercato delle Pmi italiane lo scorso 20 dicembre, con un flottante di circa il 30,5%. Si tratta di Gel, società marchigiana che produce attrezzature, componenti e prodotti chimici per il trattamento delle acque. “Abbiamo voluto dare un incremento alla crescita strutturandoci per poter arrivare alla Borsa: un target importante per noi per superare il classico finanziamento bancario. Le risorse raccolte con l’aumento di capitale con cui siamo sbarcati all’Aim serviranno proprio per dare spinta ai nuovi progetti della società” ci ha detto l’Ad Aroldo Berto.

Quali sono questi progetti?
Seguiremo due linee di sviluppo: una fatta di internalizzazione di alcuni processi che ci permetteranno di aumentare la marginalità, l’altra per linee esterne.

Ce li spiega in dettaglio?
Rispetto alla crescita per linee interne, l’obiettivo è quello di realizzare internamente i processi di stampaggio, anche alla luce dei grandi volumi di cui ora necessitiamo e che ci permetteranno da una parte di essere autonomi e dall’altra di recuperare ulteriore marginalità. Due linee di stampaggio per un investimento importante che permetterà di migliorare fino al 35-40% il costo dei nostri prodotti lasciando spazio sia a livello di margini per la società, sia di flessibilità sui prezzi di vendita. Un secondo progetto riguarda la produzione di membrane piane utilizzate in alcuni impianti: sono pochissimi i produttori di questi oggetti, e anche in questo caso il recupero a livello di margini è consistente: su un impianto da 100mila euro, queste membrane pesano per 70-80mila euro. Quindi parliamo di cifre importanti. Sappiamo come farle e quindi alla luce dei prezzi abbiamo deciso di produrli internamente, avendone il know how.

E gli altri investimenti?
Sono rivolti verso l’esterno. Prevalentemente per raggiungere una quota di mercato sull’estero: nei prossimi 3-5 anni vorremmo arrivare a raddoppiare la nostra quota di fatturato sull’estero, per incrementare l’incidenza sui ricavi complessivi. E per far questo ci servono investimenti di tipo commerciale. Abbiamo intravisto in Cina buoni spazi di sviluppo con prodotti e soluzioni tecniche che difficilmente potranno duplicare. Una sede in pianta stabile e operatori commerciali che vendano le nostre soluzioni. Un altro Paese su cui ci stimo muovendo è la Germania: qui stiamo cercando una società già operativa sul mercato di cui rilevare il 51% per continuare ad avere l’imprenditore locale come partner. In alternativa la Gran Bretagna con uno schema analogo.

Insomma, operazioni importanti nei prossimi anni…
Se non ci fossimo quotati, dovendo solo basarci sulle nostre forze e sui flussi di cassa generati dalla società, avremmo dovuto scegliere solo uno di questi investimenti e una volta completato passare a quello successivo. La quotazione e la raccolta di capitale, oltre 5,5 milioni di euro, ci consente di far partire quasi contemporaneamente tutte queste operazioni.

Quali sono le dimensioni del mercato di riferimento?
In Italia di circa 130-150 milioni di euro. Il primo attore è l’austriaca BWT che fattura circa 550 milioni di euro, di cui circa 24-25 in Italia, noi siamo i secondi in Italia. Poi ci sono molte piccole società che operano in ambito locale e si limitano a pochi prodotti. Ma anche in questo settore lo scenario va verso un consolidamento progressivo.

Come si può crescere in Italia?
Le nuove normative sui trattamenti delle acque aggiornate un paio di anni fa rappresentano un canale importante. Un secondo è rappresentato dagli studi e società di progettazione: stiamo terminando lo sviluppo di un software che consente loro di progettare soluzioni di trattamento acque e produrre i relativi capitolati. Una parte del fatturato aggiuntivo dovrebbe venire quindi anche da qui.

E all’estero, a parte Cina e Germania?
Il mercato russo è interessante, avevamo già dei contatti, poi la caduta del rublo ha fermato il tutto. Ma ora sembra che sia pronto per ripartire. Anche in questo caso si tratterebbe comunque di accordi puramente commerciali.

Nessun insediamento produttivo all’estero?
Il costo del lavoro pesa per meno del 5% sul valore del prodotto finito. Quindi per ora non è assolutamente significativo produrre all’estero, ma tutto rimane in Italia.