Nella prefazione italiana del suo ultimo libro, I furiosi anni Venti, Alec Ross scrive: “attualmente made in Italy significa qualcosa di più di maestria artigianale: corrisponde a una vera e propria etica. Oltre al capitalismo degli stakeholder diffuso tra gli stilisti italiani, esistono centinaia di casi meno conosciuti ma ugualmente esemplari di imprese italiane virtuose”. Un capitalismo umanista che caratterizza il percorso di crescita e sviluppo di un’azienda chimica storica italiana: Industrie Chimiche Forestali, che nei primi 9 mesi del 2021 registra ricavi pari a 55,2 milioni di euro, in crescita del 25% rispetto ai primi 9 mesi del 2020 e – dato ancor più significativo – del 4% rispetto ai primi 9 mesi dell’esercizio 2019. “Da sempre, – commenta Guido Cami, amministratore delegato di Industrie Chimiche Forestali – il presupposto del nostro percorso di crescita è stato quello di essere un’azienda virtuosa, attenta al territorio, alle persone, all’ambiente. Una scelta che ripaga nelle relazioni con la clientela e che si riflette positivamente sul fatturato”.

Che anno è stato per Industrie Chimiche Forestali il 2021?

Un anno straordinario. La fase più acuta della pandemia si sta allontanando e l’attività produttiva ha ricominciato a correre in maniera rilevante. Il contesto macroeconomico è senza dubbio ancora influenzato dai contraccolpi della crisi sanitaria, ma in questo scenario tutti i nostri mercati di riferimento hanno ripreso le attività e questo ci ha permesso di registrare, nel primo semestre, ricavi superiori ai 37 milioni di euro, con incrementi sia sullo stesso periodo del 2020 ma soprattutto sullo stesso periodo del 2019, anno pre-Covid. I dati dei primi nove mesi confermano la tendenza. Anche la marginalità restituisce risultati soddisfacenti e lo stesso vale per la generazione di cassa, nonostante i continui investimenti. Abbiamo lavorato, investito, innovato e per questo abbiamo scelto di ripagare la fiducia degli investitori con la distribuzione di un dividendo.

Come è cambiato lo scenario di riferimento rispetto alla fase acuta della pandemia?

Registriamo risultati positivi in tutti i settori. L’automotive è andato molto bene fino ai rallentamenti dovuti alle difficoltà logistiche dalla componentistica. Cresce il mercato della calzatura, soprattutto quella sportiva, e siamo entrati nel campo lusso con l’acquisizione di Morel. Lusso e pelletteria registrano ottime perfomance, per non parlare degli imballaggi flessibili alimentari.

Due i nei: le difficoltà legate alla catena di fornitura dell’automotive e il costante aumento delle materie prime, a partire da agosto 2020.

Come commenta l’operazione che ha portato all’acquisizione del ramo di azienda Morel?

È stata un successo. Il 1° luglio abbiamo perfezionato l’intervento e possiamo dire che rappresenta un caso di successo: due aziende storiche del made in Italy che scelgono un percorso di crescita comune. Oggi fattura quasi 5 milioni ma il vero valore aggiunto è rappresentato dalla storia, dalle risorse umane e dalle loro competenze, oltre che dalle tecnologie. Abbiamo assorbito le 15 risorse e traslocato tutte le macchine, in un’ottica di efficientamento complessivo. Non abbiamo mai fermato il lavoro, né fatto ricorso alla cassa integrazione e oggi possiamo contare su un nuovo segmento di mercato per attività di cross-selling.

Quali le previsioni per il futuro?

L’automotive, come visto, è un po’ in sofferenza ma il manifatturiero corre, calzature e pelletterie in particolare. Il lusso è in forte ripresa. Prevediamo un impatto temporaneo dell’aumento dei prezzi delle materie prime sulla marginalità. Tra i presupposti fondamentali per la crescita: i continui investimenti in sostenibilità, da sempre punto di riferimento per le nostre attività. Siamo impegnati anche in attività di ricerca, soprattutto sul fronte degli adesivi ad acqua per gli imballaggi flessibili alimentari. Inoltre, stiamo valutando potenziali acquisizioni di realtà attive in ambito adesivi ma in settori alternativi ai nostri.

Che valore rappresenta la sostenibilità per una realtà industriale come ICF?

È uno dei nostri pilastri. L’industria chimica sconta molti pregiudizi ma non bisogna dimenticare che parlare di chimica vuol dire parlare di farmaceutica, di agroalimentare. Nel nostro dna c’è da sempre l’attenzione all’ambiente, nasciamo dalle foreste, ma questo approccio è diventato linea guida anche per le relazioni con le persone che lavorano con noi, per il territorio e per i processi produttivi. Sono fortemente convinto che chi gestisce un’azienda debba chiedersi sempre se quel posto sia ideale per un componente della propria famiglia. Dagli anni Ottanta abbiamo aderito ai progetti sulla Sostenibilità di Federchimica e poi abbiamo scelto di seguire la strada delle certificazioni e dei sistemi di gestione green. La produzione e i ricavi devono sempre rispondere a principi etici.